LA CITTA'
DELLE DONNE
Lazlo Wertech
Quella signora sull'autobus con l'aria vagamente affranta (è il
primo giorno senza Jasì il suo barboncino deceduto ieri), con un
tailleur un po' retro, con quella smorfia assorta e pensierosa,
ne bella né brutta, né vecchia né giovane, non l'ha notata
nessuno, tranne Frizziero. Quell'attrice anziana, inglese, che
recita magistralmente il ruolo della matrigna dentro lo schermo
della tv, quell'altra ragazza procace e un po' volgarotta, che
fa la telefonista in un callcenter per vivere, ma di lavoro fa
l'attrice in un teatro underground... e quell'altra ancora, una
buona madre di famiglia ormai rassegnata al ruolo di moglie
inviolabile, ma nel cui bassoventre ancora si agita un lontano
desiderio... Frizziero le ha notate tutte. Per un arcano
processo alchemico che assomiglia a una distillazione dell'umore
più nascosto, lui le cattura in una sorta di identikit
dell'anima. Il processo è apparentemente semplice: scarabocchia
con gesti guizzanti e veloci delle facce, ma non ne cerca la
fisionomia. In quel viluppo di righe scomposte si sta attuando
la trasformazione rivelatrice. Abbandonato il fisognomico, dal
vortice di di gesti appare lo psicognomico. Ciò che è catturato
è il carattere, l'indole, l'emozione di un attimo o l'emozione
permanente e dominante (perplessa, sdegnata, interessata,
melanconica, recriminante o pacificata) che finisce per
stabilizzarsi sui volti dopo una certa età e rende più marcata
l'atmosfera intorno alle persone. Ecco la nobildonna, la
parvenu, l'infermiera, la sposina novella e la portinaia. Ecco
la megera, l'algida straniera del terzo piano, la commessa del
supermarket e la cassiera del cinema. Tutte in posa come nei
ritratti fin de si鐵le,
tutte guardate da un'occhio implacabile e benevolo al tempo
stesso, che le colloca lì al nostro cospetto, non solo per
essere guardate, ma anche (e forse soprattutto) per essere
testimoni impassibili del nostro agire. Con la sua arte, i cui
prodromi si potrebbero ricercare in tutto il transfigurativismo
occidentale (da Arcimboldo a Modigliani) ma che non tralasciano
neppure i fermenti pop dell'agonia novecentesca (le sue signore
potrebbero stare tranquillamente sulla copertina di sgt pepper's
lonely hearts club band), Frizziero "compone" mosaici di donne,
solo o quasi solo donne, che si rivelano rimanendo anche però
imperscrutabili, come imperscrutabile è la specifica curiosità e
lo specifico desiderio di indagare un universo mai completamente
compreso, e a ben vedere mai completamente comprensibile. |
STRAPPARE PER RICOMPORRE
Marco Vimercati
Che cosa avrà spinto Frizziero a rispolverare dei moduli narrativi
da lui scoperti alla fine degli anni '60 e a riprenderne possesso?
Quale storia intende raccontarci con le sue accurate e preziose
campiture di colore che scontornano persone - donne - dai profili
abbozzati? Non mi farei ingannare dal soggetto: non vi è alcun
interesse esplicito per l'essere biologico femminile, nell'arte di
Frizziero. Posso ipotizzare un puro interesse per la composizione,
lo sviluppo del tratto, la ricerca di frammenti di colore da
assemblare, da giustapporre e da rendere materici e poi ancora
scuriti di sfumature, quasi a voler conferire un sedimento temporale
su ogni singola opera e renderla piacevole da vedere.
Perchè forse non bisognerebbe dirlo:
forse parlando d'arte converrebbe anzi evitare il sacrilego tabu: e
cioè affermare che siamo di fronte a cose belle da toccare e belle
da guardare, opere che per la loro composta ed equilibrata eleganza
formale, voglio proprio dirlo, ci appenderemmo in casa. Belle da
guardare, sissignori, che sanno entrare in casa tua con educazione,
senza pugni nello stomaco e senza costringerti a dipingere una
parete di nero. Quindi, per me, niente più che mosaici dalle
pastosità cromatiche belle da guardare da lontano, nella prospettiva
di una stanza, che cambiano atmosfera col variare delle luci, e
belli anche da vicino, quando la figura si perde e si scopre il
piccolo tesoro delle tessere multicromatiche. Ecco forse qual'è la
rivelazione dei mosaici di carta: una capigliatura e un'incarnato
hanno la stessa importanza di una parete o del tessuto di una
marsina. Una persona conta come un muro o come il broccato d'una
poltrona. Tutto è fatto della stessa materia, di strappi di carta,
ex testi e d ex immagini che si ricongiungono a formare nuove
identità Se volete c'è anche una metafora del samsara, e un sano ed
ecologico riciclaggio della carta (ed anche dei supporti, quasi
sempre recuperati tra gli "scarti nobili" della post civiltà dei
consumi). In quest'arte d'assemblaggio e di frammenti, tutto diventa
texture, tutto diventa pura ricerca cromatica da arte informale,
dove a comandare è il rapporto di equilibrio e di mutuo rispetto tra
le campiture di colore. E dove tutto però alla fine torna ad essere
immagine, presenza e addirittura "persona", testimoniando anche
l'imperturbabile occhio di Frizziero, scevro da giudizi, verdetti o
sentenze su chicchessia. Era ora che la sua grande capacità di
narratore, di descrittore di gente, e la sua colossale galleria di
incontri si traducessero in immagini.
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